Che la nostra società avesse qualcosa che non andava bene credo fosse palese a chiunque. Il Covid è stato come una brezza di vento, che ha portato via al re gli ultimi drappi, mostrandolo nella sua nudità. Quei diritti, che lo erano perché era sufficiente venire al mondo per poterli esercitare, sono diventati ora un permesso, temporaneo e revocabile, concesso dall’autorità. Eppure, quell’autorità che poco si stimava pure prima, perché era una autorità disinteressata alle vicende umane e troppo partecipe a quelle aziendali, ci ha cresciuti e un po’ ci siamo abituati ad essa.
Nel momento in cui ci dice, come ci sta dicendo, che non possiamo più stare sotto il suo tetto se non ci adeguiamo, che è doveroso obbedire, non più alla Costituzione, ma a dei DPCM, ecco che la reazione immediata è stata quella delle manifestazioni e degli scioperi. Queste situazioni, quando interessano un settore produttivo e trainante, come il carico-scarico delle merci dai porti, va ad intaccare il tessuto produttivo e quindi si ha un potere contrattuale. Ben diversi sono gli scioperi portati avanti dagli studenti, i quali, pur rappresentando il futuro della società, non hanno potere contrattuale in quanto non produttivi.
Certo, essi potrebbero scatenare il caos, rendere difficile la vita quotidiana e portare all’esasperazione e al cedimento l’autorità. Bastano però le pagine recenti della nostra storia per disilludersi del romanticismo di cui sono pregne le manifestazioni di piazza o gli scioperi. I portuali di Trieste vengono descritti come un branco di ignoranti che minaccia e s’arroga il diritto di tenere in scacco una nazione. Le piazze vengono infiltrate da agenti in borghese che fomentano la folla e compiono atti violenti, sperando di infuocare la miccia che giustificherà arresti, cariche e manganellate. È così che si fa e così si è sempre fatto, come il disonorevole Cossiga ci ha fortuitamente spiegato in una sua intervista. Manifestazioni e scioperi vengono poi dipinti, dai media nazionali, come sparute e poco partecipate, in cui prevalgono esponenti di estrema destra, nostalgici e violenti.
La Germania, precedentemente alla prima guerra mondiale, ebbe le strade e le piazze piene di manifestazioni a favore della pace. La guerra si fece comunque, i tedeschi soffrirono la guerra, la persero e dovettero pagare immensi capitali ai paesi vincitori. Questo per dire che, l’autorità, ben poco pensa al popolo e tira dritto, perché l’autorità non è il popolo: non pensa come il popolo; non soffre come il popolo e non desidera pace e benessere. L’autorità ben sa quali sono le mosse del popolo perché lo conosce e lo maltratta da migliaia di anni: il popolo invece dimentica spesso la propria forza e reagisce nell’unico modo in cui sa reagire, ovvero urlando e marciando per le strade, come un romantico che gridi alla propria fiamma che l’ama ancora.
Siamo stati cacciati dalla società, e ciò è stato fatto alla luce del sole, con l’innocente complicità dei nostri colleghi, amici e conoscenti. C’è chi infatti non capisce cosa ci sia di discriminatorio nell’impedire di frequentare l’università o poter esercitare un lavoro. In quanto liberi umani, sappiamo che, dal momento in cui veniamo al mondo, abbiamo il diritto di poter cacciare, raccogliere la frutta dagli alberi e poter coltivare la terra: questo serve alla nostra sopravvivenza e soddisfa il nostro istinto alla vita. Nella società odierna queste attività sono tradotte nell’esercizio di una professione che contribuisca, in modo materiale o immateriale, al benessere nostro e della comunità. È nostro diritto poter socializzare con le persone, è nostro diritto perché lo era nello stato di natura ed è fondamento stesso del patto sociale. Chi mai s’assocerebbe ad altre persone per perdere la socialità? Nella contemporaneità, e nel mondo occidentale, socialità significa poter accedere a luoghi ormai proibiti a molti.
L’istruzione, quell’obbligo-diritto, formatore di teste squadrate, per cui nel post Unità tanto hanno combattuto i nostri avi, i quali si vedevano strappati i propri figli per essere formati come Italiani, non esseri pensanti, ma omini inculcati di idee patriottiche e risorgimentali, ora noi la consideriamo un diritto. È un diritto perché sancito dalla Costituzione, la quale, in maniera molto innocente, promette ch’essa funzioni da ascensore sociale, in una società fortemente non meritocratica, dove la meritocrazia è intesa in senso classista: il merito è in vendita e va a chi se lo può permettere. È il capitale il vero ascensore, capitale facilmente espandibile se lo si ha già: esso non ha vincoli né per la quantità accumulabile né per modalità, che possono, e spesso sono, sanguigne e immorali.
Ora che siamo per strada, e la nostra voce è roca per le urla, che ben pochi ascoltano; ora che i nostri occhi sono arrossati per le lacrime e il cuore roso, siamo costretti ad un bivio, ad una scelta difficile. Le grida, la rabbia e le botte porteranno alla più completa divisione, all’incompatibilità degli animi fra chi la pensa in un modo e chi nell’altro. Seguirà poi l’incompatibilità dei corpi e si vedrà lo sterminio della civiltà, in cui ci si impiccherà a vicenda ai lampioni, tra vicini di casa. Chi è sospetto lo si mette al muro e gli si spara un colpo, perché i processi si faranno per direttissima e su due piedi e non ci saranno né umanità e né buonsenso.
Questo ci attende ed è una via aspra e amara, fatta di sangue che scorre per le strade, che porta con sé l’odore di carogna, i corvi e i ratti. Colpi di arma da fuoco per le strade e la rottura, che già è tangibile, tra la popolazione. Esistono già persone che non si parlano più e l’uccisione dei propri famigliari e amici, da parte dell’altra fazione, non porterà che a spaccature sanabili solamente con estrema difficoltà e col passare di più generazioni. Tutta questa non è fantasia ma Storia ed essa si ripete sempre, mai allo stesso modo, e lo fa senza guardare in faccia nessuno.
V’è dunque, di questi tempi, solo spazio per la morte e la devastazione della società civile, o vi sono forse altre possibilità d’azione? Spero che gli animi non siano ancora così infiammati da non poter valutare strade alternative a ciò che, di orribile, lo ammetto, ho dovuto descrivere. La guerra civile è costituita infatti da vendette private, da oppressione mentale e fisica e non prevede ritorni: chi uccide un suo consimile non avrà più notti in cui potrà dormire sonni tranquilli. Se si prosegue dritti sulla strada attuale non ci sarà bisogno di scegliere e sarà destino di tutti vivere la sciagurataggine della morte violenta, in cui si improvviseranno forche e tutte le persone gireranno armate, in gruppi, cercando chi è diverso e, quindi, da annientare.
La strada alternativa a questa orribile situazione non è spianata. Vi è però la possibilità di crearsela, di decidere che non si vuole intraprendere il percorso della violenza, costi quel che costi. La strada della pace è molto più difficile in quanto non esiste: bisognerà armarsi di pazienza e cercarla dunque dentro di noi. Abbandonare la strada maestra per scavarsi un sentiero nella foresta non è facile e richiede coraggio, determinazione e anche la possibilità di perdersi e vagare nel nulla. Ma chi vaga nel nulla, chi naviga nel nulla, si fermerà dunque un giorno, stanco e desolato come un naufrago, e si siederà dove è arrivato. La terra che poggia sotto di lui sarà il suo nuovo suolo e lo stancante percorso affrontato sarà la sua nuova vita.
Per chi voglia seguire la strada pacifica, della non violenza e del rispetto per la vita, è richiesto dunque di trovare nuove vie al lavoro, all’istruzione e alla socializzazione. Si è dunque, tutti, i nuovi Noè, e v’è il bisogno di un’arca che possa salvarci dal diluvio. Su quest’arca dovranno salire quelle qualità positive della nostra società, lasciando fuori ciò che ha reso triste la vita delle persone, togliendo loro la volontà di vivere e la possibilità di essere felici. Sull’arca dovranno salire quei sentimenti positivi di cui l’essere umano è sempre stato espressione: pace, felicità, amore, armonia, tolleranza, comprensione, uguaglianza e fratellanza.
Quest’arca, così tanto carica – perché, anche se a volte non sembra, il mondo è veramente pieno di tanti bei sentimenti – solcherà le acque della società e troverà il nuovo Eden. Lo troverà o lo costruirà, con la volontà di chi, ormai, non ha più nulla da perdere. Lo cercherà fin che avrà il cuore che batte e, quando lo troverà, griderà al mondo, finché avrà fiato nei polmoni, di raggiungerlo. Sarà la riunione della società, di tutta quanta. Si chiameranno i vecchi amici, quelli con cui ora si fa fatica a parlare, e si mostrerà loro questo nuovo luogo, dove non vi sarà alienazione e si lavorerà perché abbiamo voglia di farlo, dove si andrà a scuola perché ci sarà la sete di conoscenza e non perché saremo obbligati: l’ansia e gli obblighi saranno rimasti fuori dall’arca, annegati assieme alla violenza, all’odio e all’invidia.
Questa strada, non segnata e di difficile attuazione, è l’unica che vorrei seguire, perché è l’unica che possa portare al cambiamento e alla felicità mia e di chi amo. Questo difficile sentiero, poco battuto, fa paura perché prevede l’ignoto e fa paura a molti. Fa paura a noi, abituati a stare con i piedi saldi per terra, fa paura perché esce dagli schemi finora percorsi e porta a dover abbandonare, a parole e nei fatti, ciò che ha sempre costituito il nostro vivere. Dovremo spogliarci dei pregiudizi, dell’arroganza, della disumanità e rimanere nudi, ma liberi d’ogni peso, nell’immensità del mondo. Questa via, però, non fa solo paura a chi la vorrebbe percorrere: è infatti il terrore e il peggior incubo di chi è autorità. Essa – l’autorità – smetterebbe di essere ed esistere e lascerebbe solamente esseri viventi, autogovernati dai principi e dai sentimenti che abbiamo portato con noi sull’Arca e che, da domani e a seconda della via che vorremo intraprendere, potrebbero essere gli unici sul pianeta terra.
Dcopertina di Edward Hicks – http://www.cs.berkeley.edu/~aaronson/zoo.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1654583