Non so come si sia arrivati a questo paradosso, in cui i cosiddetti intellettuali, cioè coloro che hanno avuto una formazione umanistica, coloro che dovrebbero conoscere come funziona il mondo, o almeno provarci, o almeno crederci di provarci, siano così inabili nel comprenderlo. Non è un segreto che coloro che sanno leggere e scrivere siano anche coloro che hanno avuto più possibilità e più tempo da dedicare all’apprendimento, di coloro che invece, per ragioni socio-famigliari, sono stati costretti a lavorare. Ciò ci è raccontato chiaramente dalla Storia, in cui gli intellettuali si sono formati nelle famiglie dei più abbienti o per conto di tali famiglie.
Gli intellettuali del presente ereditano da coloro che li hanno preceduti, soffermandosi sui temi da loro sviluppati e li approfondiscono, spesso contraddicendoli, ma rimanendo sempre sullo stesso tema. Un grande personaggio del passato, magari del diciannovesimo secolo, potrebbe aver scritto a proposito di temi antropologici, ripresi poi nel secolo successivo e trattati tuttora. Sebbene i contributi nel corso degli anni ci siano stati, e talvolta siano stati ottimi contributi, il tema del dibattito è stato orientato da coloro che per primi hanno parlato.
Nel senato romano aveva grande influenza il discorso del primo senatore, il quale con la sua abilità retorica poteva influenzare i successivi interventi e che stabiliva in qualche modo la piega del dibattito.
Pare davvero che anche ai giorni nostri non ci sia potuti scrollare di dosso l’elitarismo degli intellettuali, inconsapevoli della loro fortuna e della loro prevaricazione sulle classi che realmente li mantengono, le quali, paradossalmente, non coincidono con chi li paga. L’intellettuale d’oggi è ancora al servizio del potente, vive all’ombra di chi lo assume, e si guarda bene dal contraddire le decisioni politiche della classe dirigente.
L’intellettuale, nonostante non sia classe dirigente, è pregno inconsciamente di tutto ciò che è élite, per il semplice fatto che tutto ciò che ha studiato nella propria vita – e che spesso coincide con tutto ciò che fatto nella propria vita – è stato commissionato dall’élite per l’élite. L’intellettuale è dunque il cantastorie alla corte del re, è colui che narra le gesta degli antenati e ne loda le prodezze militari o la capacità politica. La stessa Storia non è al servizio del popolo, delle persone, di coloro che sono la maggioranza e che non sanno, non perché siano stupide o ignoranti, ma perché gli intellettuali preferiscono non parlar loro.
Provo a comprenderli: può darsi che alcuni di loro abbiano sentito la necessità di gridare – e alcuni l’hanno fatto e lo fanno – le ingiustizie del mondo, e che siano stati demotivati, che abbiano dovuto conformarsi per sopravvivere, rendendosi però complici di quel sistema che li ha soffocati e che continua a soffocare la vita della maggioranza degli umani. Può darsi che altri continuino tuttora, incompresi da una società orientata al consumo, che ha poco tempo per pensare e che concepisce la libertà nel concetto di libertà di spendere.
Può darsi che valga il sempreverde motto: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, ma chi ha provato a modificare il linguaggio, a modificare i temi, non per renderli più comprensibili a chi non sa, ma per renderli più interessanti? Capiamo ciò che ci è vicino, ciò che ci è familiare: comprendiamo maggiormente le ragioni di chi circonda rispetto a quelle di chi è lontano da noi.
Forse non è un caso che chi si interessa di storia, di filosofia, di sociologia e letteratura siano membri di classi agiate, che possono pensare senza timore di soffrire la fame, che non hanno il timore della disoccupazione e che possono permettersi di non dover produrre.
Questa discrasia tra gli intellettuali e le necessità della maggioranza, si traduce in un mostro frankesteiniano, in cui la testa non è al servizio del corpo, non pensa perché gli arti prendano azioni, ma è al servizio della forza, affinché sia una forza intelligente, una forza diabolica. Quest’ultima darà ordini agli arti, i quali eseguiranno, non motivati dall’intelligenza, ma manovrati dalla paura. Questo corpo a compartimenti stagni, il cui sangue non scorre da un organo all’altro, produce cancrene, visibili negli eventi contemporanei degni dei migliori libri distopici.
Non so se v’è una soluzione a questo virus che sta contagiando, non i corpi, ma le menti della nostra società. Ho la speranza che, se si applicassero le parole di tale che si studia a scuola e che disse, a proposito della letteratura – ma ciò vale anche per la storia -, ch’essa dovrebbe inseguire : “l‘utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo“, sicuramente ci troveremmo più vicini a quello che è lo scopo delle materie umanistiche, ovvero la comprensione del presente e lo sviluppo di un senso critico.