Di Alessandro Barbero ricordo le parole: “Conosco molti fisici il cui sogno era studiare la storia ma nessuno storico che avrebbe voluto studiare la fisica”. Era una battuta ma mi ha convinto, e così mi sono iscritto a Storia. Di Barbero ricordo anche un’altra frase, che faceva più o meno così: “Credete forse che i politici chiedano agli storici dei pareri per non ripetere i vecchi errori? Assolutamente no, gli storici osservano e si mettono le mani nei capelli.”.
E guai che firmino! Guai a chi dica la sua, perché durante la pandemia solo i virologi possono parlare, e, tutte le altre scienze, vanno in secondo piano, anzi, è un po’ come se non esistessero. Al limite, i professori, possono raccontarci di come le epidemie ci sono sempre state, che anche le quarantene son cosa normale e che, guarda guarda, anche durante l’influenza del secolo scorso si usavano le mascherine.
Si vogliono, insomma, conferme. Conferme colte, conferme che rassicurino, che infondano fiducia e guai a dire qualcosa contro il potere: esso è democratico e repubblicano, quindi non può sbagliare. Noi siamo diversi dai nostri avi: siamo più intelligenti, più colti, abbiamo anche il telefonino ed è per questo che, quel che accadde nel passato, non si può più ripetere! Tutto funziona bene in ciò che il potere fa e, lo storico, può permettersi di parlare solo a cose fatte, cent’anni dopo: nel presente è meglio che stia zitto. Chi parla e non lecca fa un mestiere poco gradito, ed è un po’, metaforicamente, come chi s’aggiri nei cassetti altrui per spaiarne i calzini.
Prima, seppur nel caos della disinformazione, c’erano l’ordine e il consenso; ora, come funghi, saltano fuori i ribelli! Se si fosse in buonafede si butterebbero un paio di intellettuali in un’arena e li si guarderebbero azzuffarsi, a colpi di citazioni e confronti col passato. Si avrebbe un vincitore? Certamente no, perché il bello della cultura: ciò che la rende davvero utile è che non possono esserci binari morti. Ogni considerazione permette ad altri di replicare, di arricchire ulteriormente ciò che si è già detto, che altri negheranno. Non vi sarà mai una soluzione, ma, solamente, ulteriore confusione.
E per coloro che avessero ascoltato i colti dibattiti sperando di sentir, dalle sapienti bocche, una condanna o una approvazione, e che son delusi perché non san più cosa pensare, e che ora si sentono spaesati, rimarrà un bel lavoro da fare. Toccherà loro riflettere, sgarbugliare ciò che hanno ascoltato, far la tara di ciò che si è detto, approvare qui e là alcune idee, stimare qualcuno per i ragionamenti e scoprire che, a volte, non tutti la si pensa allo stesso modo. Magari si scoprirà che, se ci si mette in dubbio, si cresce, e che, se si dà tutto per scontato, c’è una regressione individuale e sociale. A volte si dimentica l’utile ruolo della cultura, che non è e non può essere o bianca o nera e sfugge, anche se ormai ne siamo avvolti, alla logica binaria.
Ci si dimentica anche del ruolo che l’intellettuale dovrebbe avere, ovvero di colui che instilla il dubbio e che lascia le certezze a chi non si interroga mai. Già, perché ciò che gli intellettuali dovrebbero fare è proprio lo spaiare i calzini, affinché ognuno possa poi risistemarli un po’ come vuole. C’è chi non li preferisce di ugual colore, c’è chi mette un calzettone con un calzino, chi invece preferisce andare scalzo o metterne più paia. È il mondo delle idee, delle interpretazioni, fatto di sfumature e correnti e in cui vige la curiosità del pensiero altrui: ma come fa, quella persona che stimiamo tanto, a pensare ciò? E allora glielo si chiede, ci si parla, ci si dibatte e infine ci si riflette in solitaria.
Ma noi no, noi siamo diversi. Nella nostra democrazia non c’è bisogno della pluralità dei pareri, né delle idee eterogenee. Siamo sicuri, con una scientifica sicurezza, d’essere dalla parte del giusto. E quegli intellettuali, che prima stimavamo, “hanno sbagliato” ad uscire dal loro campo. Come se la cultura, e in particolar modo la storia, avessero un campo d’applicazione specifico, monotematico, asettico, stagno. C’è chi invece vede nella storia la ricchezza del nostro passato, una ricchezza che dovrebbe far riflettere e a cui non si può tenere la bocca chiusa, mai. E non ci sono scuse, la cultura e la storia dovrebbero emergere sempre, anche se c’è una pandemia e proprio perché c’è una pandemia.
La storia e la filosofia non devono diventare spunti per conversazioni da salotto. Il loro compito è di far interrogare gli esseri umani sul loro presente, attraverso ciò che è già stato e già pensato, e offrire loro interpretazioni e punti di vista differenti che possano instillare il dubbio. Solo col dubbio può esistere la tolleranza, fonte primaria di pace e benessere.
Quindi un grazie, un grande grazie, a chi continua, indipendentemente da cosa pensi e dal perché lo pensi, a spaiare i calzini per il bene di tutti.
Foto di Alessio Jacona, Festival della Comunicazione, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=79072590