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La guerra con le palle di merda – Racconto breve

La cascina abbandonata aveva una sola piccola stradina che portava al cortile. Da sopra la collina si riuscivano a vedere le valli vicine: alcune si allontanavano piccole, piccole, a discendere in grandezza, come piccoli echi di valli più grandi.

Il ragazzo tirò fuori il telefono, mandò un messaggio e guardò il padre.

– E così giocavate qui, voialtri? –

– Sì, esatto. Da bambini… e poi da grandi. – rispose il padre.

Se ne stava pensieroso a guardare l’aia vuota, i muri a pezzi, le finestre senza imposte e un fico che ormai si era fatto largo nella casa. Il tetto era mezzo squarciato e dei lunghi rami uscivano, come strani comignoli.

I due ogni tanto indicavano qualcosa e si fermavano a commentare.

– Qui si mangiava d’estate, mentre d’inverno quella era la sala. –

Fecero un giro dentro la casa pericolante, passarono nei bagni.

– Dici che funzionano ancora? – commentò ironicamente il ragazzo.

– Non funzionavano neanche ai tempi. – Ridacchiò il padre. Andavamo a pisciar fuori, sugli alberi: per non sprecare acqua. –

– I bagni invece erano a secco… – ma il figlio era andato a far la pipì contro un albero e non lo sentiva più.

– E quelle palle invece cosa sono? – Chiese il ragazzo.
Il padre guardò le palle e un sacco di immagini scorsero nella sua testa. Ricordi, pensieri. Rimase un po’ imbambolato e poi continuò: – Sì, come ti dicevo, usavamo i bagni a secco e… –

Dentro la casa c’era ancora una scatola con un secchio di vernice su cui ci si sedeva nei momenti di bisogno. Il padre lo indicò al figlio.

– E le palle che c’entrano? –

– Beh, sai, a star qui fra ragazzi ci si annoiava e così di volta in volta trovavamo dei giochi da fare. Le palle che il ragazzo indicava erano impilate come bocce una sopra l’altra, a formare una sorta di piramide. L’uomo ne toccò una col piede e provò a sbriciolarla senza riuscirci. Il ragazzo ne prese una in mano. Il padre provò a fermarlo, poi ridacchiò. – Beh, ormai saran terra… –

– E cosa dovrebbero essere? Chiese il figlio curioso.

Il padre ricominciò: – Vedi, quando si è giovani ci si diverte un po’ come capita, e noi, per divertirci… – ma non finì. Prese anche lui una pallina in mano, la soppesò, la lanciò in aria e poi la scagliò contro uno degli ultimi vetri ancora intatti e infine si annusò le mani ridacchiando. Il ragazzo faceva fatica a capire, fece domande e infine il padre gli disse tutto: – Le palline sono fatte con la merda. –

Il ragazzo la lasciò cadere schifato e guardò il padre scioccato. Questo si sentì in dovere di raccontare tutto. – In questo posto facevamo a palle di merda. Un po’ per goliardia, un po’ perché ne avevamo un sacco… e poi non c’erano altre attrazioni. –

Il ragazzo provò ad immaginarsi il luogo che aveva davanti, meno in malora, vissuto, integro. Con questi ragazzi che si rincorrevano lanciandosi le palline di merda.

Il padre guardò il figlio, ormai complice. – Vieni. Qui c’è la forma. – e tirò fuori una pressa per il vino riadattata per far delle palle.
– Qui invece le si cospargeva di cenere per avere più presa durante il lancio. –

Poi vi era la pesa. – Ogni palla non poteva pesare più di due etti. Generalmente mescevamo metà paglia e metà merda. – Uno stampino giaceva abbandonato sul tavolo.

– E le marchiavate come le bombe vere? – Domandò il figlio. Il simbolo sullo stampino era il medesimo che vi era sulle palline.

– Già, come le bombe vere. –

In quei giorni gli aerei passavano sulla città e sulla campagna portando bombe: nell’aria c’era l’odore della tensione. La polvere da sparo, i blindati pesanti, i bollettini di guerra. Il padre ripensò a quelle giornate in cui si inseguivano all’aria aperta e sotto il sole, per poi andarsi a lavare nel fiume. Quante ore era stato appostato dietro una porta, con due palle di merda nelle mani. Quante altre ne aveva ricevute, sui capelli e in faccia, sulle magliette bianche… Giocavano alla guerra, giocavano alla guerra con la merda e non ricordava giornate più divertenti di quelle. Pensò, che, quando la merda la si prende un po’ tutti, ci si può divertire.

La guerra però era diversa, perché la merda la prendono solo alcuni, e gli altri nulla.

Poi pensò ad una cosa strana: la gente si sarebbe indignata più per le palle di merda che per la guerra di merda.

Alessandro Oppo

Alessandro è un milanese che vorrebbe scappare da Milano, è appassionato di informatica ma vorrebbe vivere senza telefono, è un artigiano eppure vorrebbe robotizzare tutto, impara una cosa e già vorrebbe studiare dell’altro. Autodidatta da sempre, gli piace sbattere la testa finché tutto non funziona come vuole lui, spesso ci riesce anche! Visita il suo blog personale alexoppo.com Il motto che si ripete dentro la testa è: “Se ci sono riusciti gli altri ci posso riuscire anche io”.

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