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L’ultimo giorno del carcere – Racconto breve

I muri sono muri, lo sono sempre, anche quando le porte sono aperte. Era la prima volta in due secoli che le porte si sarebbero aperte e i muri avrebbero smesso di confinare. L’altra occasione era stata al momento della loro costruzione, però in quei giorni nessuno era là dentro. Il presidente dell’Europa Unita aveva firmato l’atto: era stato un gran giorno poiché le prigioni non sarebbero più esistite; le carceri sarebbero stato un ricordo del passato, materia da storici per capirci. Erano alcuni decenni che si desiderava un cambiamento, una riforma, una abolizione, insomma qualsiasi cosa che levasse quella macchia dalla coscienza. Farlo però significava ammettere di avere sbagliato e il potere non sbaglia mai: il potere persevera, se necessario, ma non ammette di avere sbagliato. E così ci si era inventati una supercazzola, si erano uniti gli studi scientifici degli ultimi due secoli; l’opinione pubblica e tante altre cose, col risultato che era stato possibile, per quel presidente, firmare un atto che fino a un decennio prima sarebbe stato non immaginabile.

Ma vediamo in quel carcere cosa succedeva, mentre le porte si aprivano e le sbarre smettevano di esser tali.

– Io di qui non mi muovo. – disse Gregor, un ragazzo dell’Europa orientale

Altre persone lo guardarono. Si erano fermate nei corridoi, le loro mani poggiavano sulle ringhiere che davano sull’atrio principale. Si formavano capannelli tra le persone, i carcerati confabulavano, indicavano, discutevano e talvolta si sentivano voci un po’ più calde. L’argomento era sempre quello, ma ognuno diceva cose diverse. C’era chi voleva festeggiare, contento di poter rivedere la propria famiglia e poter dormire nuovamente sotto un tetto, c’era chi invece una famiglia non l’aveva più e della liberta non sapeva bene cosa farsene.

– Non ce ne son più, non ce ne son più. – diceva un vecchio, e si riferiva alle ragioni per vivere. In generale era stato un bel colpo per tutti, nonostante fosse stato il desiderio segreto di tutti gli abitanti di quel triste luogo.
– Ma che è, uno scherzo? – aveva chiesto un secondino.
– Se è vero, allora rimaniamo tutti senza lavoro. – disse un agente più anziano. – Il direttore sta chiamando il ministero, ‘ste cose non si possono fare, se eliminano il carcere cambia tutto, la società, il potere, le leggi, l’economia… –
E il direttore aveva un bel da fare a chiamare, a comporre il numero del ministero, ma nessuno rispondeva oppure suonava sempre occupato. Normalmente si sarebbe sfogato sui propri sottoposti, ma sembrava regnare l’anarchia e non era il caso: i carcerati smettevano di esser tali e i secondini smettevano di ubbidire. Il direttore era ora una persona vestita un po’ meglio rispetto alle altre e nulla di più, così si aprì una bottiglia di rum e si mise a bere.

Fuori dalla sua porta alcuni secondini cercavano di capire cosa ne sarebbe stato di loro.
– Io ho un mutuo da pagare. – disse uno. Alcuni avevano promesso vacanze alle mogli, altri ancora pensavano di ristrutturare casa. Alcuni guardavano i carcerati come se fossero loro la causa del problema: gli rubavano il lavoro! E con questa cosa del lavoro, e dei poveri secondini, ci marciavano su alcuni politici.

E poi c’erano anche altre questioni.

– Sarà un bel casino, noi porteremo il male nella società. – disse un detenuto molto anziano, il quale aveva passato la maggior parte della propria vita in carcere. Alcuni detenuti più giovani lo guardarono come a dirgli che avrebbero voluto che si spiegasse meglio.
– Ma sarà un problema vostro – continuò -, a me manca così poco da vivere… – I più giovani attesero in silenzio. – Vedete, la società ha chiuso il male fra queste mura… –
– Ma noi non siamo il male. Abbiamo sbagliato e stiamo pagando il prezzo con la società, ma non siamo il male. – disse uno.
– Noi non siamo il male – spiegò il vecchio ridacchiando, – noi siamo la rappresentazione del male. Tutto ciò che s’è voluto nascondere, tutte le incoerenze della società, insomma tutti gli effetti, e non le cause, sono racchiuse fra queste mura. Quando andrete là fuori le persone avranno due problemi: presto capiranno che non c’è un “noi” e un “loro”, e che sono le condizioni sociali a stabilire il destino di una persona. –

– E la seconda? – chiese un ragazzetto impaziente.
– La seconda invece è terribile: non si potrà più dire: “sbattiamolo in carcere”, bisognerà comprendere più a fondo la natura umana, riorganizzare la società e le leggi, in modo che del carcere non ci sia più bisogno. Può darsi che, talvolta, qualcuno vedrà in voi i responsabili di tutto questo, poiché state rubando loro il vaso di Pandora: se il male non è più nelle carceri, come si potrà distinguerlo dal bene? – I giovani rifletterono in silenzio, mentre tutto attorno gli altri carcerati continuavano a confabulare. I discorsi del vecchio si erano propagati come onde causate da un sasso in un bacino d’acqua, talvolta sfumavano, ma riuscirono a raggiungere tutti gli angoli del carcere, fino a propagarsi addirittura fuori. Nei paesi vicini – si trattava di un carcere situato fuori dalla città – si cominciarono a ripetere le parole del vecchio, ma in altre forme e in altri modi.

Questa storia si conclude così, senza che vi sia una vera e propria fine, in quanto non v’è mai stato – nella realtà si intende – un vero e proprio inizio. C’è chi dice che dal carcere quel giorno non uscì nessuno, poiché le parole del vecchio avevano colpito le coscienze di tanti. Pian piano qualcuno uscì, ma lentamente, come quando ci si stropiccia gli occhi da appena svegli…

Alessandro Oppo

Alessandro è un milanese che vorrebbe scappare da Milano, è appassionato di informatica ma vorrebbe vivere senza telefono, è un artigiano eppure vorrebbe robotizzare tutto, impara una cosa e già vorrebbe studiare dell’altro. Autodidatta da sempre, gli piace sbattere la testa finché tutto non funziona come vuole lui, spesso ci riesce anche! Visita il suo blog personale alexoppo.com Il motto che si ripete dentro la testa è: “Se ci sono riusciti gli altri ci posso riuscire anche io”.

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