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L’ombra è ancora qui e non se ne è mai andata via

La magia non sempre si manifesta con incantesimi. A volte è infatti la rottura di un incantesimo a farci sognare e sperare in un futuro migliore e diverso. A volte è idealismo – chiamatela anche ingenuità – ma il vedere i giovani che si svegliano e si spolverano gli abiti è stato bellissimo. I giovani non finiscono mai, e, per ogni persona che smette di essere giovane, ve n’è un’altra che la sostituisce, rendendo eterno un organismo pieno di speranze, che, ancora, non ha capito bene come funziona il mondo e di cui, il mondo, si preoccupa troppo poco.

Cosa sono i giovani se non semini, germogli e piantine? C’è chi direbbe che han bisogno di cura e d’essere guidate – ben guidate – affinché la luce del sole batta sulle loro foglie e le nutra. Le piante però crescono, senza alcuna volontà che non sia la loro, e ogni sforzo d’aiutare costringe e storpia. Ma è difficile da capire e ci si prova, di generazione in generazione, a plasmarlo quel gomitolo di giovani. Lo si srotola per uno dei capi e lo si distende piatto piatto sul tavolo. I giovani hanno un bandolo, e senza questo vi sarebbe il caos, regnerebbe l’anarchia e si creerebbe confusione!

La paura dell’inaspettato, dell’imprevedibile, è la ragione per cui ci si impegna, anima e corpo, nel mantenere ciò che è già. Tutto deve essere stabile e ben calibrato, nulla deve essere lasciato al caso: il caso potrebbe tagliarlo, quel gomitolo, e la matassa non si riuscirebbe più a riavvolgere. Per quale bandolo la si piglia nel momento in cui sono tanti? Come lo si afferra il capo, come lo si gestisce un filo lungo come l’Italia? Staticità – a fin di bene – mentre i primi studenti salgono sullo sgabello del boia – chiamato Potere – e provano il cappio: esso sta bene. Tutto sommato smagrisce, slancia la figura, fa piacere ascoltarne il fruscio sul collo e tiene ben su il colletto inamidato.

E poi si balla, al suon dei passi degli studenti, che marcian nel momento in cui lo sgabello cade. Ogni passo segue il movimento ondulatorio dei corpi pendenti e si obbedisce alle mani penzolanti. Giovani menti, emarginate dal mondo, fuggite dall’ovile, ma ansiose d’essere recintate: perché così è. Lo è nel momento che c’è la cima e la valle, che v’è lo steccato che separa il dentro dal fuori e il bastone è il legno del pastore. È il mestiere più vecchio del mondo, in cui si barattano i sogni per dei sassolini e ci si danna l’anima per averne una cava intera.

Sgabelli di sassolini e corde fatte di fili: la storia si ripete e tragicamente i sognatori se ne domandano il senso. Cos’è – dannazione – ciò che attrae tanto e che non potresti avere altrimenti? Perché tu umano t’ergi a umanità? T’ha corrotto l’astuzia? Essa, che era la tua arma, t’ha scassinato il cuore e la mente, ha bruciato tutto di un tratto e ne ha sparse le ceneri altrove, affinché trascinate dal vento non portassero che l’odore del cambiamento e ricordassero a tutti che esso non è ammissibile, non concepibile, non tollerabile.

E per chi le annusasse, a distanza nel tempo, c’è da farsi portar via col valzer delle illusioni, delle distorsioni. Se poi ci sarà chi, fra le lacrime e la coscienza, si chiederà cosa avrebbe potuto fare, per non sbagliare, forse il non fare sarebbe stato sufficiente. Ascoltare, ponderare, considerare, masticare, passeggiare, dormire e correre: se son io a decidere di far tutto ciò, come puoi tu imporre, anche solo per far del bene, ciò che tu vedi e immagini. Non ho io il diritto – periodo strano, per parlarne – d’avere su tutto ciò che son io la piena sovranità?

Parole al vento, che dal vento stesso vengono confuse e storpiate senza pietà. Oh, se solo il vento lo si ascoltasse talvolta! Nel marasma del traffico e nello sciabordare del mare il vento passa inarrestabile, porta con sé ciò che si è detto e mai ascoltato, come un vecchio saggio a cui si dà ormai del rimbambito. Nel vocio cittadino ci si fa beffe delle parole, esse sono troppo poco importanti e perlopiù mal spese per essere testimonianze e consigli. Nel silenzio – e tutti i cuori ne sono talvolta immersi – invece il vento brucia e secca: le parole dette, inascoltate, ne fanno screpolare la superficie da cui uscirà il sangue.

Ma può anche rinsecchirsi il cuore, per il troppo dolore, e allora non si può che rimpiangere e aspettare: un paio di generazioni e tutto ricomincerà, dai dolori alle speranze e il vento soffierà su tutto e alimenterà il fuoco che brucia sugli animi emozionati.

Parole al vento, nuovamente: idealisti, sognatori, che ogni giorno sperate delusi, che ogni volta vi ammalate nel dover alzare il capo e veder qualcuno tra voi e il sole, l’ombra è ancora qui e avvolge il nuovo recinto come se mai fosse cambiato nulla.

Alessandro Oppo

Alessandro è un milanese che vorrebbe scappare da Milano, è appassionato di informatica ma vorrebbe vivere senza telefono, è un artigiano eppure vorrebbe robotizzare tutto, impara una cosa e già vorrebbe studiare dell’altro. Autodidatta da sempre, gli piace sbattere la testa finché tutto non funziona come vuole lui, spesso ci riesce anche! Visita il suo blog personale alexoppo.com Il motto che si ripete dentro la testa è: “Se ci sono riusciti gli altri ci posso riuscire anche io”.

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