Nota: Questa è una trascrizione automatica dell’intervista, pertanto potrebbero esserci errori o imprecisioni.
Alessandro: Grazie di nuovo per il tuo tempo e per aver organizzato questa cosa, mi fa proprio piacere.
Dave: Bene, bene.
Alessandro: Volevo chiederti, le vostre canzoni hanno spesso un contenuto politico, ho notato che nella newsletter… e la cosa mi piace molto. Mi chiedevo, ad esempio, perché siete partiti nel ’91? Visto che è anche l’anno in cui sono nato io.
Dave: Chi può dirsi?
Alessandro: Cosa è cambiato dal ’91 ad oggi secondo te, nel mondo?
Dave: Allora, devi avere da bere… Intanto io sono uno dei witness beirut, insieme a tante persone della mia età, un pochettino più giovani e a tutti quelli più anziani ancora vivi, che si sono visti due mondi completamente diversi: pre-internet e post-internet. Quindi è cambiato tantissimo.
Intanto dal punto di vista della musica, ma poi magari il discorso può prendere altre direzioni. Una volta noi facevamo il giro per promuovere i nostri dischi fisici e i nostri concerti, sbattendoci proprio anche fisicamente andando in giro. Adesso si mandano via solo pubbliche.
Mentre una volta c’era la figura del grafico, e andavamo in giro ad attaccare i manifesti dei concerti presso le università o vicino al locale in cui avremmo suonato.
E poi proprio ieri sera mi è capitato di parlare con alcune persone dell’intelligenza artificiale, che è un’altra rivoluzione ulteriore. Perché prima c’era il mondo senza internet, poi il mondo con internet, quindi un altro modo di socializzare e di promuovere le cose, e adesso c’è l’intelligenza artificiale.
Te lo dico perché ieri eravamo al Parco Sempione in quattro persone, anche Rima, e ho detto all’intelligenza artificiale: “Fammi una canzone ska che parla di quattro persone che parlano dell’intelligenza artificiale”, ed è venuta fuori una canzone troppo bella, bellissima, che non farò mai però me la sono salvata.
Ed è una cosa che un po’ spaventa perché, lo so che tante persone dicono che l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata solo per dare qualche input e poi dopo sviluppi tu, però secondo me per come sta andando fa delle cose veramente… per cui sembra che la creatività non sia una prerogativa umana che ti permetterà di vivere, perché ho sentito delle cose pazzesche. Chi sa come sarà tra un anno, due anni, forse… le capacità dell’intelligenza artificiale… molto…
Va beh, insomma, è un discorso lungo. Ma immagina cosa può essere anche semplicemente per creare delle immagini, per illustratori, per artigiani del design, bauhaus, non lo so, è una roba un po’ inquietante.
Alessandro: Stavo pensando a quello che dicevi sulla parte creativa. L’intelligenza artificiale replica solamente dei pattern su cui è stata allenata, quindi in realtà non è creativa in tutto questo. Tante volte mi sono chiesto se anche noi possiamo essere creativi o meno, oppure anche noi replichiamo, perché ho letto quel romanzo, perché ho studiato quella determinata cosa, e dopo allora rielaboro e riesco a creare qualcosa di nuovo, di creativo, però appunto sulla base di quello.
Dave: Beh, sì, in effetti la domanda è bella. Tutto ciò è la nostra individualità, la nostra unicità nelle nostre scelte creative? Solo che dipendono solo da quello? E quanto invece la nostra creazione dipende da tutto il bagaglio, a tutta quella biblioteca o mega spazio con tutte le informazioni che abbiamo raccolto durante la vita?
Io credo che alla fin fine sia più la seconda, cioè non che se noi siamo figli del nulla. La nostra creatività cambia con l’esperienza del vissuto. Tu immagina che anche i pittori grandissimi, dal medioevo in poi, per tutti quelli che potevano viaggiare, hanno fatto una rivoluzione nel momento in cui hanno avuto la possibilità di vedere i dipinti di altri.
Se tu immagini la pittura prima e dopo Caravaggio, rispetto allo studio della luce, ha capito? Quindi poi dopo è arrivato Caravaggio, sono arrivati grandissimi artisti che hanno preso – comunque non potevano dimenticare di aver visto questa cosa qua – e sono andati avanti dalla loro strada, ma comunque si sono ingranditi, hanno aumentato la loro percezione e la capacità di descrivere la realtà anche in modo creativo.
E quindi credo che anche noi siamo veramente l’intelligenza artificiale. È l’uomo che riprende i pattern. Siamo la stessa identica cosa. Adesso c’è l’intelligenza artificiale, una volta c’era il bastone per distruggere una pigna, che ne so. Insomma, comunque utilizzavamo delle cose extracorporee per migliorare la nostra vita. Piano piano vai avanti, adesso c’è l’intelligenza artificiale. È lo stesso processo.
Alessandro: Sì, certo. E poi mi chiedevo appunto, eravamo partiti dal contenuto politico in diverse canzoni. Una cosa molto interessante è anche magari l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per migliorare la società, anche se poi le nuove invenzioni di solito vengono utilizzate per peggiorarla in qualche modo. Mi chiedevo appunto se, oltre a questi cambiamenti tecnologici che ci sono stati e che sono stati incredibili, anche a un livello politico-sociale cosa è cambiato.
Dave: È tipo… se prima, non ti ho detto però, io appunto sono un informatico.
Alessandro: Quindi sono due ambiti che mi interessano un sacco, data e intelligenza artificiale. Mi si sono accese le antenne!
Dave: Sì, no, dicevo l’impressione su cosa è cambiato anche a livello sociale. Eravate a Milano nel ’91?
Alessandro: Com’è cambiata magari anche la città, le relazioni?
Dave: Noi siamo, allora, ci tengo sempre a dire che i Vallanzaska sono un gruppo milanese, anche se poi… proprio perché è nata a Milano. E poi dopo, anche se abbiamo subito cambiamenti, una volta ho fatto il calcolo: cinquanta persone nei Vallanzaska, a parte io e Lucio che siamo noi due fondatori, io la voce e lui alla chitarra. Siamo un gruppo meneghino, non ci piace dirlo così, ma è così. Io sono di Milano, vivo a Milano.
E come è cambiata la società? Cavolo… Non lo so. Da un lato mi sembra di rivedere, di rivivere tantissime cose che c’erano allora. Adesso faccio un esempio: oggi leggevo un articolo su Maranza, che è un tema forte. Tra l’altro, mi è capitato anche di partecipare a un podcast la settimana scorsa ed è venuta fuori la questione dei maranza. Dal punto di vista sociale, comunque i maranza c’erano anche ai tempi, solo con un nome diverso, non era lo stesso, eccetera.
Allora, è una città che è cambiata tantissimo, il mondo è cambiato tantissimo. Anche la città di Milano stessa. Tu sei milanese? Te ne sei andato, quindi io non so quando tu sia andato via, però immagina cosa è successo qui a Milano tra prima e dopo l’Expo. Questa città che doveva essere sempre una sorta di eterna promessa, comunque una città piccola, dinamica, eccetera, ma non riusciva mai a esplodere.
E poi è accaduto l’Expo e tutto il mondo si è accorto di Milano. Però si è accorta in un modo per cui dopo è diventata quasi una città invivibile. Io da un lato, da milanese, sono contento che Milano sia diventata una città famosissima, è la mia città. Se tu fossi di Barletta e Barletta diventasse un posto super conosciuto, saresti contento, insomma.
Però è diventata, è aumentata la sua fama e allo stesso tempo è aumentata l’impossibilità di poterci vivere. Quindi in un certo senso aumenta la fama e aumenta l’esclusione.
Alessandro: Quello si chiama gentrificazione.
Dave: Esatto, ed è una verità. Insomma, rimane lo stesso una città molto attrattiva perché porta tantissimi turisti e credo che abbia ancora tantissime possibilità. A chi viene qui è una città che ancora, credo, accoglie le persone che magari hanno delle idee, tipo da startupper. Non so quanto sia ancora la città del “Milan col coeur in man”, però è una città che sta escludendo un po’ troppo, ecco. Quindi sta diventando invivibile da quel punto di vista. Tante persone hanno fatto la tua scelta, ma qua non so cosa farò io.
E poi direi, questa è la prima cosa che mi viene in mente. Prima ho parlato anche di maranza, però ecco, pericoli: non credo che sia cambiato tantissimo dal punto di vista dei pericoli. Una volta mi ricordo che avevo paura degli skinhead quando giravo per Milano, perché ce n’erano tantissimi. Mentre adesso sono tranquillo, a cinquant’anni non mi caga più nessuno dal punto di vista di risse possibili fuori dai pub.
Ma allo stesso tempo, ecco, vedo una cosa che mi ricorda un po’ Londra di quindici anni fa. Hanno cominciato a girare i coltelli, si parlava di coltelli a Londra, e adesso è una cosa che sto vedendo e leggendo tantissimo, che sta succedendo anche a Milano.
Una volta, quando ero piccolo, le cose che succedevano in America arrivavano dopo…
Alessandro: Ti ho perso un attimo.
Dave: Sì, no, dicevo che un po’ di tempo fa stavo leggendo di come a Londra era cominciata la moda dei coltelli tra ragazzini, cosa pericolosissima perché… c’è anche solo l’idea di uscire con un coltello! Cosa ti passa per la testa? Ecco, adesso sta succedendo tantissimo anche qua, in Italia, a Milano.
E poi mi ero collegato al fatto che tanto tempo fa mi ricordo che quando veniva accaduta una moda negli Stati Uniti, poi ci metteva venti anni ad arrivare in Italia, no? Una moda sia bella che brutta che fosse. Adesso è tutto molto più veloce. Mi dispiace che certe tendenze così distruttive e violente prendano piede, insomma.
Però io credo anche che quando succedono queste cose qua, è proprio anche tanto la notizia che fa sembrare la cosa più grossa di quella che è. Cioè non c’è una crisi dichiarata di violenza a Milano rispetto a quello che c’era ai tempi di Vallanzaska Renato, dei gappisti insomma. Sta meglio a quel punto, però la notizia acchiappa.
Alessandro: Sì, anche io immagino siano molto appunto la notizia. In realtà, io sono andato a Milano per studio.
Dave: Sei di Milano?
Alessandro: No.
Dave: Tu sei stato qui e hai detto “me ne vado”, quindi tu, come me, ti sei trovato in un posto che era già attrattivo per altri. Quindi tu hai fatto un passaggio ulteriore: adesso me ne vado, controcorrente, mi allontano da Milano.
Alessandro: Sì, è stato proprio per ragioni di studio. Io infatti ho riflettuto su questa cosa, su come magari alcune persone arrivano a Milano e per loro appunto la città è grande. Ma anche qui a Bologna è la stessa cosa: magari uno vive in un paesino, per cui Bologna è la città grande. Oppure c’è chi arriva da Roma a Milano, quindi Bologna è la città piccola. Mi è piaciuto molto riflettere su come effettivamente è diversa una città se la vivi come nativo o se ti sei trasferito. Mi ha fatto anche riflettere su come forse chi ci nasce non riesce a cogliere tutte le cose, mentre chi ci arriva si va a cercare le cose perché è più nuovo e si deve adattare in qualche modo. È stato molto interessante il concetto.
Dave: Infatti. E io mi ricordo quando ho fatto l’università, la Statale, mi sono laureato in Storia alla Statale di Milano, mi ricordo che non ero un pessimo studente, andavo abbastanza bene, ma i più bravi di tutti erano quelli che venivano da fuori, cioè che avevano un’idea precisa: “mi sono iscritto alla Statale per fare Storia” mentre io ho detto “be’, faccio Storia”. Ne voglio fare una facoltà umanistica, vado in Cattolica? Non ci vado. Vado alla Bocconi? Non è una facoltà umanistica. Vado alla Statale di Milano.
Ed ero circondato da persone che venivano da fuori, che erano dei treni, gente bravissima, che aveva – chi veniva da fuori – aveva appunto un traguardo ben più visibile. A noi di Milano, quelli di San Picchi, quasi non sembrava normale finire certe situazioni, non faceva ancora parte di un’idea di conquista, di crescita veramente. Non lo so, ma credo che venisse percepita proprio da chi viene da fuori in un modo più consapevole rispetto a chi invece ci è nato.
Alessandro: Sì, io ho studiato in Statale a Milano e quindi lo comprendo. Erano cambiati magari un po’ i tempi, magari quelli un po’ più recenti, chissà? Ma vorrei portare avanti questa cosa della Storia con la musica, con i contenuti.
Dave: Allora, intanto mi ricordo che nell’album “Cheope” c’è una canzone che si chiama “Here”, riferita proprio alle storie che vi sono, che mi sono inventato. Mi sono inventato proprio un testo dove facevo alcuni riferimenti storici, nel senso… mediocri, però comunque me lo ricordo che era molto legato ad alcune cose che avevo studiato e che mi avevano colpito. Quindi per chi non lo conoscesse, invito ad ascoltare “Here” dell’album “Cheope” dei Vallanzaska del 1998, e lì si parla un po’ di storia, così in modo anche un po’ demenziale, anche con dei giochi di parole anti-storici, perché potevano essere simpatici.
Poi mi viene in mente anche un altro pezzo. Io avevo fatto un corso di Filosofia Morale con un certo professore che si chiamava Rambaldi, lo ricordo sempre perché ha lo stesso nome del creatore di E.T., di un artista che ha creato proprio… E noi abbiamo fatto un’altra canzone che si chiama “Lettera”, che adesso facciamo fatica a pubblicare perché è una canzone sulla Shoah.
E questa selezione, questo corso che ho seguito era proprio sulla Shoah, fatto da questo filosofo morale, e su Primo Levi, che è uno dei miei scrittori preferiti. “Se questo è un uomo” mi aveva veramente introdotto alla lettura e mi ha fatto pensare in un modo un po’ diverso. Proprio per questo ho fatto questa canzone sulla Shoah. Secondo me opere come queste sono legate un po’ anche al fatto di aver fatto Storia e di essere stato attento ad alcune cose.
Adesso non si può parlare di Palestina e di Israele perché è un argomento assolutamente scottante, però questa canzone era sulla Shoah, eppure c’è, quando delle volte la postiamo, qualcuno che dice “sì, però la Palestina…”. Noi non siamo neanche ebrei, cioè nel senso era una canzone su un fatto storico e ancora tutto viene mischiato. Sono stato anche di recente alla manifestazione del 25 aprile infatti…
Esistono un po’ di contraddizioni e di non detti e di cose che non si possono dire.
Alessandro: Sì, sì, concordo. Spesso mi è sembrato di notare che c’è una sorta quasi di binarismo, nel senso che uno non può essere… che so, ci sono alcune cose che sono “di sinistra”, alcune cose che sono tra virgolette “di destra”, per cui tu non puoi essere, non lo so, di destra ma dire “vorrei le piste ciclabili”, o di sinistra e criticare alcune cose riguardo non so, alcune leggi che vengono fatte, perché senno sei subito incasellato in un discorso o nell’altro. Però penso che appunto tutti questi temi scottanti su cui poi alla fine magari si può anche litigare…
Dave: Cioè, bisognerebbe litigarci in questione, nel senso bisognerebbe parlarne, perché sennò poi parli solo con le persone con cui sei d’accordo e si polarizza.
Alessandro: Esatto!
Dave: Non so perché Radio Popolare, che è una radio che adoro, che lancia messaggi di sinistra ma alla gente di sinistra, che già pensa in quel modo. Quindi bisognerebbe… è un esempio che può valere per chiunque, eh?
Il problema è che lo scontro che potrebbe essere un confronto, rischia di essere scontro, e quindi uno si toglie anche volentieri, se non ha voglia di scontrarsi.
Quindi l’attuale questione è: sugli argomenti scottanti non si riesce a parlare, non si riesce a fare un confronto, una discussione semi-pacata. O vieni additato, messo in una casella, oppure ci si scontra, cose che non vanno bene. Non c’è quasi più chiaroscuro, è bianco o nero, rosso o blu, e un po’ faticoso. E forse c’è sempre stata questa cosa, non lo so, però sicuramente questo è un momento un po’ esasperato. Certe cose si fa un po’ fatica, sono difficili da trattare.
Alessandro: L’altra riflessione che ho fatto con Davide, l’altro ragazzo che però oggi non poteva esserci, è questa cosa sulle idee e i fatti. Nel senso che noi tante volte ci comportiamo, non so, andiamo d’accordo su tutto nella vita quotidiana, proprio quella pratica, reale. Poi però, per una ragione, perché io magari ho letto dei libri, tu ne hai letti degli altri, eccetera, non sai che la pensa in un certo modo riguardo a quella questione, tu la pensi diversamente, e allora ci scontriamo più sulle idee, mentre invece sui fatti siamo d’accordo. Si è capito cosa intendo?
Per cui, credo, magari io ho qualche informazione sulla guerra in Ucraina e quindi la penso così, tu hai altre informazioni e la pensi diversamente, ma sullo…
Dave: No, ma il problema… sono d’accordo, è vero. Il problema è che… ok, facciamo, prendiamo l’esempio dell’Ucraina. Io sono uno storico, so cosa è successo abbastanza bene lì negli ultimi trent’anni, diciamo dalla caduta del Muro ad adesso, in quella zona.
E però, tu dici che alla fin fine i fatti… Il fatto è questo, che i fatti sono pensieri. Cioè per tante persone, non per tutti, ma per tante persone, è anche per noi. Tante volte, vista la propaganda, è difficile capire veramente cosa succede, cosa non succede.
Ci vuole una pluralità di fonti, bisogna avere una certa curiosità e impegnarsi ad avere una pluralità di fonti di informazione per fare una media, non so come dire. E quindi i fatti delle volte proprio non… è difficile che si conoscano. Ci vuole magari un po’ più di tempo per riuscire a capire cosa è accaduto veramente, mentre invece le etichette, le idee sono immediate. Per cui è una cosa su cui subito ci si può scontrare.
Però è vero che manca delle volte un link diretto al fatto sul cesso, che delle volte non sono vere certe cose. Tu leggi le prime pagine dei giornali, ci sono veramente titoli… e la grandezza dei titoli colpisce le persone. Ma non è detto che la grandezza del titolo sia un fatto veramente importante rispetto ad altri molto più importanti, magari relegati in altre pagine più in fondo. Oppure alcune cose sono omesse, alcune cose sono esagerate.
Alessandro: Sì, sono d’accordo. È assolutamente quello che dici sulla propaganda o sul tentativo di influenzare le persone per motivi vari. Però pensavo proprio a una differenza…
Penso a due persone che prima, magari, della guerra in Ucraina, prima di un determinato evento, erano amici e tutto quanto. Per cui a livello di fatti, queste persone si trovavano bene proprio come persone. E poi nel momento in cui accade un certo evento (può essere Palestina, Ucraina, Covid, può essere, esatto, Seconda guerra mondiale, qualsiasi cosa), a quel punto entriamo in un mondo delle idee.
Per cui, nel senso, io che appunto come dicevi ho studiato, hai studiato storia e quindi conosci determinati fatti, hai letto… però è come dire, mettiamo che io non so dove si fossi dall’altro lato, la pensassi nell’altro modo. Comunque sarebbero come dire eventi molto distanti da noi, a cui noi ci appoggiamo solamente con delle idee, certo, delle idee che poi noi pensiamo siano fatti.
Il discorso è: due persone che si conoscevano, che si conoscono e che erano sempre state amiche, insomma, che decidono di non essere più amici per via dell’idea rispetto a un evento.
Dave: Eh, sì. C’è questa cosa di non riuscire a separare a volte. Ma allora, dai, facciamo i complottisti. “Divide et impera”, dividi et impera, cioè nel senso, comunque, poiché la gente si scontri, che la gente non vada d’accordo, che non si unisca. Questo può essere una lettura, insomma, per il potere.
Non so quanto crederci veramente, però perché no? E poi per il resto penso che questa fase sia anche, rispetto a quello che dici tu, una fase di transizione verso non so che cosa. Però è vero. Anch’io penso che ci sia questa cosa, che siamo probabilmente in una fase di transizione, ma non so verso cosa.
Alessandro: Certo, certo. È quello che forse anche noi, come dire, abbiamo a decidere, se ne abbiamo uno, con la nostra volontà, una piccolissima… un pochettino di potere ce l’abbiamo.
Dave: Sì, sì, secondo me sì, ce l’abbiamo. È che anche da questo punto di vista qui, noi il potere ce l’abbiamo, ma sembra che alla gente non freghi niente delle cose un po’ importanti. Anche il social housing è importante, e lo svago è importante, però comunque mi sembra che sia diventata la cosa quasi più importante.
Quindi noi abbiamo potere ma di fatto lo esercitiamo poco, perché ci piace più, in generale, fare altre cose, andare in giro, far vedere quanto ci divertiamo, quanto siamo bravi. Insomma, è qualcosa che distrae. Credo, dunque, un potere potenziale che poi non usiamo effettivamente, è una Ferrari chiusa nel garage.
Alessandro: Puoi andarci veloce, però, siamo assicurati! Io penso, perché è effettivamente magari molte persone pensano, si sentono proprio impotenti, nel senso di non avere questo potere effettivamente, magari prova a cambiare nel proprio piccolo le cose. Non so se c’è molta sfiducia da questo punto di vista o se magari tu hai avuto altre idee.
Dave: Ma io questa cosa qua la condivido, e sì sarà anch’io, mi capita proprio di avere una certa sfiducia. Però non lo so. Secondo me la cosa viene anche forse un po’ prima, cioè nel senso che la gente non è che non faccia qualcosa perché ha sfiducia, non è ancora arrivata delle volte ad avere la coscienza di poter fare delle cose. Quindi non è proprio una sfiducia.
Non so come dire, è “l’uovo oggi rispetto alla gallina domani”. Non… non penso che delle volte le persone non abbiano coscienza di queste potenzialità, di questa potenzialità, e quindi non sia dettato dalla sfiducia, ma dall’ignoranza.
C’è il tema: se poi non si crea, non si riesce a creare nei ragazzini, nei bambini, una sorta di coscienza (diciamolo, faccio anche nome… io per i casi strani ho fatto il maestro elementare di sostegno, lo sto facendo adesso in una scuola di frontiera pazzesca), mi rendo conto che certe cose vanno un po’ svegliate, inculcate, niente di rivoluzionario. Ma un certo tipo, un altro tipo di coscienza, insomma.
Alessandro: Certo, assolutamente. Quindi c’è addirittura il passo prima rispetto all’impotenza. E a questo punto mi chiedo, potrebbe essere come dire un’assenza, un’ignoranza riguardo a come funzionano alcune cose nella società. Non so, se c’è un problema nel quartiere, oppure un altro problema di tipo sociale grande. Io posso non sapere dell’esistenza…
No, appunto, dicevo: da una parte una non conoscenza di come funziona non so, il nostro sistema politico sociale, dall’altra parte, anche se uno lo conosce, poi dopo si dice “tanto è inutile, è inutile parlare con tizio”, perché arriva l’impotenza.
Dave: E non so, appunto ripeto, secondo me… mi riaggancio un po’ a quello che ho detto prima, cioè nel senso: molte delle cose che ho detto oggi, stasera, con te, sono punti di vista, dei ragionamenti anche al momento, nel senso, sicuramente… se lo dico adesso, poi dopo sei uno… Meno male che io sono uno di quelli che cambia anche tante volte idea, cioè nel senso, me la faccio proprio ragionando con altre persone, un’idea più precisa di alcune cose.
Per cui anche quello che dicevi tu, io dicevo che può essere qualcosa che viene addirittura prima, e poi non so. Poi in realtà come sia esattamente, potrebbe essere anche come dici tu.
Alessandro: Non so anch’io, mi chiedevo perché un po’ è il motivo per cui come dire, alcune cose non cambiano, nel senso ci son tante cose che andrebbero cambiate, perché magari generazioni passate, ma da sempre… Però spesso, come dire, sono appunto i più giovani che vogliono cambiare, che vogliono cambiare magari alcune cose nella società.
O magari in parte sta avvenendo non so, appunto con i social, come dicevi tu, magari alcune cose che ancora non conosciamo bene, come l’intelligenza artificiale, potrebbero aiutare. Tra l’altro, prima dicevo, non so, anche utilizzare magari la tecnologia, tra cui l’intelligenza artificiale, magari per aiutare questa cosa.
Questo è un pensiero che ho avuto tante volte: penso a quanti magari tanti giovani vorrebbero cambiare alcune cose, però poi uno si sente solo nella propria cameretta.
Dave: Come sui social! Qualcuno lo fa per far festa. Forse è più importante quello… E comunque diciamo che la tentazione del proprio orticello, bello, preciso, bello tranquillo, è forte. È sempre stato forte ed è una cosa contro il cambiamento. Insomma, non è un contentino per distrarti proprio, magari quali sono i veri problemi in generale grandi che possono veramente rendere la vita migliore a tutti quanti.
E non so se questo, appunto, un esempio: l’intelligenza artificiale possa aiutare dei rivoluzionari, nel senso di persone che vogliono magari cambiare qualcosa.
Alessandro: Chissà!
Dave: Scusa, stai prendendo anche un sacco di cavolate. L’intelligenza artificiale qui sarebbero veramente dei geni che vogliono cambiare le cose in modo magari bislacco, strano. E non mi vengono in mente quelli… che il rischio è come quelli che seguono per forza il navigatore. È capitato che c’era una notizia di uno con una macchina che si è infilata in un’entrata in un paesino: due case molto vicine, a malapena carrabile, forse sì, forse no, non lo so, incastrato tra due case. Sono venuti a spostare uno.
Alessandro: E quindi?
Dave: L’aiuto, diciamo dell’intelligenza artificiale, del navigatore, vanno, dovranno avere, avranno anche un po’ filtrate. Insomma, invece il problema è quando tu ti metti da rivoluzionario a seguire esattamente quello che ti dice una macchina, che magari ti dice di andare in un posto dove non ci puoi passare. Se tu la seguirai sostanzialmente in maniera acritica. Comunque ci vuole un po’ di umanità.
Perché poi potrebbe essere anche, adesso facendo un paragone magari con le ideologie, senza citarne nessuna, perché mi stanno tutte simpatiche, se analizzate in maniera filosofica, e questo è già pericolosissimo.
Alessandro: Sì, esatto. A volte uno magari anche lì, in tutti gli ambiti ho notato come dire, ci sono… puoi incontrare da destra a sinistra eccetera persone che si sono fatte studi, studiano quelle idee perché hanno letto, e poi le riflettono, oppure persone che seguono in maniera sostanzialmente acritica.
Dave: È come…
Alessandro: È difficile argomentare riguardo ad alcune cose senza essere fraintesi.
Dave: Mi piacerebbe molto come dire, chi da sinistra – anche se poi forse la sinistra in Italia non esiste, intendo una sinistra più vera, più storica, più come dire – magari si rinnovasse, perché a volte segue forse in maniera troppo (però questa è una mia impressione) alcune cose che sono state dette in passato, che “si fa così e cosà per cambiare il mondo”. Però il mondo è cambiato tantissimo. Quella roba lì non vale più. Certo, se è l’ideale finale, l’edificio nel senso, effettivamente quella società giusta, più equilibrata, più…
Alessandro: Sì, direi di sì, libera, meno dedita all’ordine.
Dave: Scusa, mi son perso cosa hai detto.
Alessandro: Una città quindi anche un po’ più libera, dove la cosa più importante non è l’ordine.
Dave: Certo, sono ideali condivisibili, recuperare dalla sinistra storica. E però tu dici che certi metodi non sono più, non funzionano più perché è cambiato il mondo. Cioè l’obiettivo c’è ma non si riesce più ad arrivarci con metodi che andavano bene quarant’anni fa?
Alessandro: Forse sì, perché penso anche a Milano. Non solo dal ’91 fino a oggi, ma pensando agli anni ’70 più o meno, diciamo le fabbriche sono uscite dalla città, credo. Quindi tantissime cose sono cambiate.
Dave: Come dicevi tu prima appunto, una riflessione al momento. Non ci siamo studiati nulla, domani cambieremo idea.
Bene, io quando guido, a voi ascoltatori… E allora, noi abbiamo ragionato, o può darsi detto cavolate, ma intanto si parla e si ragiona, che è la cosa più importante. Se magari non riesco a esprimere esattamente come ho in mente, però lo si fa a fin di bene. È tipo da questo punto di vista, tu come stai? Non so se chiamarti personaggio pubblico in qualche modo, come la vivi? Questo perché appunto magari mi è capitato non so di condividere una riflessione che in quel momento, perché in quel momento ero incazzato, triste… o tramite forma scritta, o video. E magari dall’altra parte viene vista come “ah, quello è il suo pensiero e ha deciso di metterlo per iscritto”, come se fosse scolpito nella roccia, come se fossimo un giornale che appunto vuole mandare un messaggio politico.
Dave: E va, io personalmente una cosa verde che trovo facendo il cantante o, se vuoi, anche personaggio pubblico nel senso che se sei un cantante di un gruppo che gira da tanti anni così. Non è che siamo dei politici o andiamo in TV, però mettiamo, dal punto di vista musicale potremmo essere anche… Vallanzaska e io, come cantante, personaggio pubblico tra virgolette.
Però tendenzialmente io evito tantissimo proprio il pericolo che tu hai, cioè quel rischio diciamo che tu hai appena enunciato. Penso due volte prima di scrivere, di poter mettere giù qualcosa. Anzi, spesso, più delle volte, ancora adesso, a parte OK, sto usando tantissimo… cioè pochissimo volevo dire, i social, proprio perché lo sto trovando un po’ troppo tranchant, nel senso poco, poco terreno fertile per una discussione normale. E quindi soffro un po’ questa cosa.
Quindi esprimere completamente in modo diciamo sanguigno un’opinione, i social sono il posto meno indicato. Per cui li uso pochissimo. L’unica cosa che mi sembra ancora fattibile è provare a dire qualcosa con un po’ di ironia, di giocare un po’ su questo tasto qui. Però è per me difficile da dire una cosa molto forte e reale, senza ironia, scriverla, perché potrei cambiare idea il giorno dopo. Oppure il giorno dopo rendermi conto che è stato dettato da una rabbia particolare in quel momento, e magari non condivido il giorno dopo. Però le cose poi rimangono.
Però allo stesso tempo, poi nei social si dimenticano. Insomma, non è una botta, comunque poi rimane ed è tipo te… Questo lo trovo molto, molto faticoso e quindi cerco di evitare. Tendenzialmente cerco di evitare, però non sono neanche alla guida. Non devo, non devo dire, insegnare niente a nessuno, far cambiare idea a nessuno, far ragionare particolarmente qualcuno.
Insomma, sono un cantante. Ripeto, se c’è qualcosa che sento il bisogno di dire, sono convinto di dover dire, comunque tendenzialmente quella cosa la dico. Ma come se fosse una vignetta, come se fosse… anzi, delle volte faccio una vignetta, la pubblico. È il mio modo anche un po’ per pararmi il culo, dicendo “è una vignetta, è una battuta”, però il messaggio alla fine passa lo stesso, ecco.
Però non sono quello che sale sulla barricata e urla lo slogan forte, non ho questo ardore.
Alessandro: Certo, certo. Neanche io mi sono ritrovato in questo. Però appunto pensavo banalmente a volte uno condivide una riflessione. Mi è capitato, come dire, che da altre parti venisse vista come una cosa “allora tu la pensi così”, capito? Tra dieci anni magari c’è ancora vita, “quindi ancora la pensi così”, “no, magari sono invecchiato, sono cresciuto”.
Dave: La capacità, è una dimostrazione di intelligenza ammettere e cambiare idea, vuol dire che ci hai ragionato.
Insomma, ecco, quindi comunque ci sono persone, vedo, che invece riescono ad avere la forza di resistere, diciamo, alla voglia addirittura di combattere. Di combattere su “tu pensi che io sia un pezzo di merda, e tu pezzo di…”.
Ma no, ma no, non è il mio modo (risata). Prima, da un lato, sono affascinato da chi riesce così, senza problemi, a esporsi con tanta convinzione. Cioè, quello che mi lascia basito: come fai a essere così convinto della tua idea, così fino all’arte?
Insomma, non lo so. Oppure di esporre un’idea in modo violento, cercando la caciara, non so come dire, dandola sempre un po’ lì così. Non lo so. E anche questo è un pensiero ho detto in diretta, però per adesso io ci credo per i prossimi dieci secondi.
Alessandro: Hai fatto ottimi spunti di riflessione per noi, per chi ascolta, per chi non ascolta.
Dave: Tipo, sono spunti di riflessione, non proposte.
Alessandro: Quale potrebbe essere così, sempre in diretta, qualcosa di violento, di barricata?
Dave: Non sto scherzando. No, no, rischierei di essere banale, cioè la pace nel mondo! No, vorrei dire, vorrei che ci fosse più… ma no, ci penso un attimo.
Alessandro: Nessuno ti ha detto “così, pensaci!”
Dave: Ci devo pensare un attimo. Io sono un po’ preoccupato per come sta andando il mondo, se ne esiste proprio, dovuta alla verità. Non vorrei essere banale, cioè nel senso, mi sembra che appunto anche… mi sono preoccupato di come l’Europa si sta armando, di come stia cambiando completamente, di come si stia cercando di abituare gli europei a un’idea della guerra che non è assolutamente necessaria. E quindi io, se proprio mi chiedi una cosa così, parlando in diretta così, il mio scudo, la mia invito a una riflessione è questo: questo vento che si sente questa estate, questa tendenza proprio come ad abituarsi a un periodo di guerra, che è la cosa peggiore del mondo, si può assolutamente evitare.
E sembra che tutti stiano facendo così. L’Italia ripudia la guerra, fa parte dell’Europa e dovrebbe ripudiare la guerra pure lei. E sembra che si stia facendo di tutto per fare il contrario e per passar per ben pensante il guerrafondaio. E questo mi disturba.
È sembra una cosa proprio condivisa dai media. I media parlano, ragionano tutti in questo modo. Per trovarti un altro tipo di ragionamento devi un po’ andartelo a cercare. Chi è distratto ha questa idea: che bisogna assolutamente difendersi, difendersi…
Quindi è una cosa che un po’ mi preoccupa, mi preoccupa perché è proprio nuova. È nuova. Io lo so che abbiamo fatto ottant’anni senza guerra, ma è un caso unico in Europa che si sia stato ottant’anni senza guerra. A parte il Kosovo, scusa, la Serbia, a parte la guerra ’91, ’92, ’93 nell’ex Jugoslavia, sono state grandissime tragedie ma circoscritte.
Il nostro periodo di pace è stata una cosa unica. E sembra che si sta facendo di tutto per dire “adesso basta, adesso basta pace, adesso siamo in guerra, andiamo a distruggere il mondo”. E poi non è quello che vuole la gente. Si è… non è quello che vuole la gente.
Sicuramente posso non sapere più che cosa voglia dire. Può darsi. Ci pensano allo scoppio della Prima guerra mondiale, come c’erano… come la guerra era anche rappresentata quasi in maniera romantica.
Alessandro: La persona che va in guerra a cavallo.
Dave: E poi dopo torna senza gambe, senza occhi, senza mascella, senza naso.
Alessandro: È guerra! Cioè, non è che…
Dave: Anche a me preoccupa molto comunque questa cosa.
Alessandro: Non ci muoiono i generali o chi decide.
Dave: Diventiamo tutti carne da macello.
Alessandro: Ma infatti c’è questa cosa che appunto dicevi, di chi sostanzialmente sostiene un riarmo che viene fatto passare come pacifista.
Dave: Se al contrario.
Alessandro: Ecco, perché anche chi vuole eventualmente un riarmo, quello che si vede è “solo con le armi possiamo avere la pace”.
Dave: Questo è il bug, è il cortocircuito.
Alessandro: Esatto. Tu come lo spiegheresti? Perché io penso, non so, ho un amico proprio… è lui la pensa, io la penso così. È quella cosa che dicevamo: i due fatti, poi nei fatti lo so, ci vogliamo bene, andiamo d’accordo su tantissime cose. Per parlare di quella cosa è in qualche modo molto distante perché come dire, astratto, però è anche molto vicina quell’idea, che poi è così differente.
Dave: Eh, eh, io non lo so. Io ho anche parenti e amici che più la pensano come l’Europa guerrafondaia, cioè nel senso. Ma lo dico, beh, gente pacifica e pacifista, però ragiona così. E non… non ho… mi mette un po’ in difficoltà.
Perché poi dopo con certe persone a cui sei legato cerchi di evitare lo scontro. C’è proprio un attimo a dire “guarda che hai detto così e così”, e poi passi tu per estremista.
Alessandro: “Se non vuoi le armi sei estremista”.
Dave: Si, passi per il nemico, passi per uno che è dalla parte del nemico. Non si capisce chi sia, comunque tendenzialmente in alcuni casi viene nominato tranquillamente.
E quindi mi mette a disagio. A volte mi mette a disagio, non so come gestirla. E poi se il piccolo lavoro che possiamo fare noi è quello di insistere un po’ di più e di provare a fare… Ma non è che io ho ragione e gli altri hanno… il mio parente non ha ragione, non lo so. Però comunque, quando si parla di riarmo eccetera, provare a far ragionare, a quel punto anche a costo di scontrarsi e di rovinare un rapporto.
Ma poi non credo che poi magari veramente possa credere una roba del genere se si parla e basta. Però cercare di far capire la contraddizione tra armarsi per avere, per fare la guerra per avere poi la pace.
Anzi, secondo me poi mi è venuta in mente un’altra cosa. Stavo ragionando un pochettino, pur tra un po’ dovrò andare, però per dire… l’Europa chiede da un sacco di anni, non riesce a essere qualcosa di politico, cioè nel senso è una cosa economica, diciamo così, però tenue.
Alessandro: Sì, forse.
Dave: Le nuove generazioni si sentono europei, io mi sento europeo. Sono… ma me lo sentivo anche prima dell’Unione Europea, europeo. È il mio contesto. Come un sudamericano, un colombiano si sentiva sudamericano. Io mi sono sempre sentito europeo in quanto… Però il dubbio che mi è venuto anche qui è un pensiero in diretta, quindi…
E però, perché nella storia è sempre successo così: come fai a unire un popolo? Anche se prima parlavo di “divide et impera”, però come fai a unire un popolo veramente? Un popolo lo unisci nei momenti di grande difficoltà, quindi per esempio con una guerra.
Come fai a far pensare agli europei di essere, di diventare, di sentirsi veramente europei? Un bel nemico esterno, un esercito unico. Quindi una tragedia condivisa da tutte le nazioni facenti parti dell’Unione Europea e finalmente un’identità. E puoi cominciare a pensare di avere un’Europa diciamo vera, dove anche la parte politica ha vero valore.
Perché ancora adesso noi guardiamo alla politica italiana, ma guardiamo tantissimo quello che la politica europea… adesso cominciamo a guardare un po’ di più. È il dubbio delle volte: è più ci partecipò alla guerra, c’è qualcosa per creare l’Europa?
Alessandro: Sì, sì, nemico esterno e logiche.
Dave: Se vuoi creare un’Europa, devi fare, creare uno shock fortissimo per cui tutti si sentono europei. E di nuovo in diretta, sempre così, però appunto condivido. Mi risuona quello che stai dicendo.
Alessandro: Sto ragionando.
Dave: Niente, non voglio ferirti.
Alessandro: Una bella chiacchierata! Va a tuo piacere, mi piacerebbe farne un’altra.
Dave: Volentieri, volentieri. Magari organizziamo una cosa di gruppo.
Alessandro: Dai!
Dave: OK, finisco qui. Grazie di nuovo.
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